Essere missionari “ad gentes” vivendo come fratelli “inter gentes”
Fra Damiano Angelucci OFMCap è cappuccino delle Marche. Da poco tempo si trova in missione in Benin. Il giovane cappuccino propone idee di fondo per tentare un nuovo modo di essere missionari francescani cappuccini “ad gentes”. Invitiamo alla discussione.
Come ha detto il Generale nell’ultima lettera sulla formazione, noi cappuccini dovremmo essere sempre in continuo atteggiamento di rinnovamento. Questo per nostra natura, e non per svilire ciò che già si è fatto finora.
Sentendo e vedendo l’esperienza di tanti con-fratelli missionari, sembra che un certo modo tradizionale di essere missionari “ad gentes” che valorizza le attività pastorali e le opere sociali, porti a sacrificare molto la dimensione comunitaria. Penso che dovremmo essere missionari “ad gentes” vivendo come fratelli “inter gentes”. La prima evangelizzazione dovremmo farla per “attrazione” al Bello che è in mezzo a noi.
Quindi ritengo che il nostro primo mezzo di evangelizzazione sia proprio l’essere una fraternità contemplativa, luminosa, centrata fortemente sulla presenza del Cristo in mezzo a noi.
Ciò premesso, metterei tre elementi alla base di una possibile nuova esperienza missionaria:
1 preghiera comunitaria,
2 lavoro manuale,
3 evangelizzazione (lavoro pastorale).
La preghiera comunitaria deve essere la spina dorsale imprescindibile della fraternità.
Quindi porrei la preghiera liturgica, la condivisione della Parola e l’adorazione eucaristica come fondamento della vita di preghiera, dandogli tempo e la priorità nell’organizzazione della settimana.
Il lavoro manuale deve essere segno per noi e anche per chi ci vive intorno. Il lavoro non può essere solo quello intellettuale e/o pastorale, perché altrimenti alimentiamo il pregiudizio che farsi frate vuol dire risolvere i problemi materiali della vita. Almeno in minima parte dobbiamo vivere di quello che produciamo. Anche il Generale ha richiamato nell’ultima lettera la necessità che i lavori in un convento non siano sempre delegati ai laici.
L’attività di evangelizzazione dovrebbe essere svolta senza pregiudicare la vita della comunità.
Ecco perché immagino una comunità di 4 o 5 frati dalla quale due frati (non sempre gli stessi) ogni tanto si sganciano per andare ad annunciare. Meglio ancora se tutta la comunità si sposta, di tanto in tanto, per fare servizio dove saranno chiamati o accolti. Oppure l’annuncio potrebbe anche essere svolto dando una mano alla parrocchia in cui territorialmente si è presenti. Mi sembra che , per quanto detto finora, assumersi la responsabilità diretta di una parrocchia ci ostacolerebbe il fine prefissato.
Al riguardo sarebbero da evitare mezzi pastorali e di comunicazione esagerati rispetto all’ambiente in cui si vive. Potrebbe bastare un auto veicolo per tutti (o comunque farlo bastare!), un telefono per tutti, un computer per tutti, un’unica cassa (!) per tutti.
Per iniziare non deve essere necessario costruire un nuovo convento. Penso basterebbe utilizzare una struttura già esistente, se c’è. Certo garantendo un minimo di igiene e protezione dalle zanzare.
Recanati (MC), 11 gennaio 2009
Fra Damiano Angelucci
Come ha detto il Generale nell’ultima lettera sulla formazione, noi cappuccini dovremmo essere sempre in continuo atteggiamento di rinnovamento. Questo per nostra natura, e non per svilire ciò che già si è fatto finora.
Sentendo e vedendo l’esperienza di tanti con-fratelli missionari, sembra che un certo modo tradizionale di essere missionari “ad gentes” che valorizza le attività pastorali e le opere sociali, porti a sacrificare molto la dimensione comunitaria. Penso che dovremmo essere missionari “ad gentes” vivendo come fratelli “inter gentes”. La prima evangelizzazione dovremmo farla per “attrazione” al Bello che è in mezzo a noi.
Quindi ritengo che il nostro primo mezzo di evangelizzazione sia proprio l’essere una fraternità contemplativa, luminosa, centrata fortemente sulla presenza del Cristo in mezzo a noi.
Ciò premesso, metterei tre elementi alla base di una possibile nuova esperienza missionaria:
1 preghiera comunitaria,
2 lavoro manuale,
3 evangelizzazione (lavoro pastorale).
La preghiera comunitaria deve essere la spina dorsale imprescindibile della fraternità.
Quindi porrei la preghiera liturgica, la condivisione della Parola e l’adorazione eucaristica come fondamento della vita di preghiera, dandogli tempo e la priorità nell’organizzazione della settimana.
Il lavoro manuale deve essere segno per noi e anche per chi ci vive intorno. Il lavoro non può essere solo quello intellettuale e/o pastorale, perché altrimenti alimentiamo il pregiudizio che farsi frate vuol dire risolvere i problemi materiali della vita. Almeno in minima parte dobbiamo vivere di quello che produciamo. Anche il Generale ha richiamato nell’ultima lettera la necessità che i lavori in un convento non siano sempre delegati ai laici.
L’attività di evangelizzazione dovrebbe essere svolta senza pregiudicare la vita della comunità.
Ecco perché immagino una comunità di 4 o 5 frati dalla quale due frati (non sempre gli stessi) ogni tanto si sganciano per andare ad annunciare. Meglio ancora se tutta la comunità si sposta, di tanto in tanto, per fare servizio dove saranno chiamati o accolti. Oppure l’annuncio potrebbe anche essere svolto dando una mano alla parrocchia in cui territorialmente si è presenti. Mi sembra che , per quanto detto finora, assumersi la responsabilità diretta di una parrocchia ci ostacolerebbe il fine prefissato.
Al riguardo sarebbero da evitare mezzi pastorali e di comunicazione esagerati rispetto all’ambiente in cui si vive. Potrebbe bastare un auto veicolo per tutti (o comunque farlo bastare!), un telefono per tutti, un computer per tutti, un’unica cassa (!) per tutti.
Per iniziare non deve essere necessario costruire un nuovo convento. Penso basterebbe utilizzare una struttura già esistente, se c’è. Certo garantendo un minimo di igiene e protezione dalle zanzare.
Recanati (MC), 11 gennaio 2009
Fra Damiano Angelucci