UN LAMA TIBETANO CAPPUCCINO


fra Orazio Olivieri da Pennabilli (della Penna) che i tibetani chiamavano "Lama testa bianca"

"La scoperta e il rispetto dell'altro"

Il 15 giugno 1994 il Dalai Lama Tenzin Gyatso fu a Pennabilli a ricordare il cappuccino fra Orazio della Penna nel 250° della morte. Un evento eccezionale, che testimonia il valore sociale e culturale della presenza dei missionari cappuccini nel lontano paese dell’oriente, che la Chiesa cattolica tentò di evangelizzare agli inizi del ‘700. Francesco Orazio Olivieri nacque di nobili origini a Pennabilli nel 1680. Soltanto terminati gli studi entrò in convento a Pietrarubbia, facendosi cappuccino. In quegli anni la Chiesa di Roma aveva deciso di istituire una missione in Tibet, affidandola alla cura dei cappuccini della Marca. L’esperienza durò pochi anni per difficoltà sia di inserimento nel tessuto sociale tibetano sia per mancanza di mezzi. Nel 1712 venne inviata una nuova missione. Della piccola comitiva di frati faceva parte anche il nostro Orazio, che, partito nell’autunno del 1712, arrivò quattro anni dopo nella capitale Llhasa dove, ottenuto il placet delle autorità, si stabilì nel grande monastero buddista di Sera, centro culturale nel quale studiò la lingua, la cultura, gli usi tibetani. Fra Orazio apprese perfettamente la lingua tanto da pubblicare nel 1732 il primo dizionario tibetano-italiano con ben 33.000 vocaboli, un testo rimasto unico per secoli. In buoni rapporti con i monaci, con lo stesso Dalai Lama e con il Reggente, padre Orazio (“Lama testa bianca” come lo chiamavano affettuosamente i locali) e gli altri cappuccini operarono al servizio della gente del posto, soprattutto praticando la medicina. Tale attività insieme alla mitezza dei comportamenti procurano loro l’affetto della gente: “voi che siete venuti da molto lontano con la mentalità che non è rivolta a cibo, guadagno, fama, donne e sostentamento, siete stati utili a molte creature” è scritto in una corrispondenza con il Reggente. La missione aveva però bisogno di aiuti e finanziamenti, motivo per il quale fra Orazio tornò a Roma dove, nel 1736, ottenne denaro e strutture (addirittura una stamperia con caratteri tibetani). Nel 1738 riprese la via dell’oriente insieme a tre confratelli, e il 6 gennaio 1741 fu finalmente di nuovo a Llhasa. Dal Dalai Lama e dal Reggente, ai quali consegnò una lettera e ricchi doni del Papa, ottenne di mantenere la missione e di esercitare liberamente azione evangelizzatrice e di proselitismo. L’ospizio funzionò sempre di più, la stamperia produsse opuscoli e interventi a favore della chiesa cattolica ma anche traduzioni di testi tibetani. Sembrava che la presenza dei frati continuasse in un clima di grande serenità, ma la disobbedienza di alcuni convertiti in alcuni obblighi verso lo stato (non dimentichiamo la netta convergenza esistente in Tibet fra stato e religione) portò la missione ad essere vista come nemico del popolo tibetano. Nonostante il prestigio di Orazio, i frati vennero sempre più evitati sino alla drastica decisione di chiudere e distruggere a furor di popolo la piccola missione il 20 aprile 1745. I cappuccini ripararono nel vicino Nepal, nella missione di Patan. Qui, scorato e vinto, fra Orazio della Penna si spense poco dopo, il 20 luglio 1745.

da: www.oraziodellapenna.com